~Diario di Corte ~ Il Regno di Alexandra Borgia

' Maps To The Stars ' : Tweet, Info e Curiosità

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CAT_IMG Posted on 19/5/2014, 10:31

Libraia, Scrittrice e Promoter Culturale

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L'inferno di Hollywood di Cronenberg: è il giorno di Maps to the stars

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Applausi ma anche qualche critica per la tragedia hollywoodiana Maps To the Stars di David Cronenberg, ieri sera alla prima stampa del Festival di Cannes dove il film corre per la Palma d'oro.

Un lavoro del regista canadese dove la realtà si confonde con la fiction e le fiction, dove gli incesti non sono affatto rari, si compiono omicidi e dove si vive solo e comunque per un pò di notorietà. Dove ogni cosa poi è un additivo per sopportare una vita invivibile se non si è sotto i riflettori e dove anche i morti risorgono come negli horror. Una Hollywood, infine, confusa, piena di droghe colorate da vivere come in una playstation.

Il film ha un'impianto corale. C'è la ricca famiglia Weiss con il padre Stafford (John Cusack) analista che ha fatto fortuna con i suoi manuali di auto-aiuto; la madre Christina (Olivia Williams) alle prese con la carriera del figlio Benjie, 13 anni, attore bambino e superstar tra gli adolescenti. Uno dei clienti di Sanford poi, Havana Segrand (Julianne Moore), è un'attrice non più giovanissima e in crisi che sogna di girare un remake del film che ha reso la madre, Clarice, star insuperabile negli anni '60. Ora la mamma è morta, ma le visioni di lei perseguitano Havana di notte. In questo disastro familiare si aggiunge il fatto che Benjie è appena venuto fuori da un programma di riabilitazione in cui era entrato quando aveva nove anni e che sua sorella, Agatha (Mia Wasikowska), è stata recentemente rilasciata da un istituto psichiatrico dove è stata curata per piromania.

Non solo. Che quest'ultima abbia trovato lavoro come assistente di Agatha e abbia intrecciato una relazione amorosa con Jerome Fontana (Robert Pattinson) autista di limousine e aspirante attore. E che, infine, quest'ultimo si trovi a fare sesso con Agatha proprio nella sua spaziosa auto. Insomma, in questo film di Cronenberg nulla sta al suo giusto posto. Non si parla d'altro che di cure, pillole e social network. E questo per continuare a stare su una scena dove tutto è possibile. Non a caso frase cult di questo film che parla, ovviamente, non solo di Hollywood, è quella che dice uno suoi personaggi: «L'inferno è solo un mondo senza droghe».

Il Messaggero



RTL Francia: Intervista Radio a Robert Pattinson

ETRdzqu

Rob parla circa la sua esperienza in quel di Hollywood, sicuramente inerente al film Maps to the Stars che sarà presentato fra meno si un'ora

Robert:

"C'è sicuramente quel tipo di 'non dare un cazzo di nulla a parte i soldi'. Persone sono come quella a Los Angeles, ma ci sono un sacco di persone che non la pensano così e ad essere onesti ho avuto solo un buona esperienze a Hollywood da quando lavoro in questo settore. Certo, ho visto persone che si perdono, ma non credo che sia colpa di Hollywood, ma a causa della loro nevrosi. Questo luogo attira un sacco di pazzi che ne escono ancora più folli. Ma in realtà è davvero divertente se non ne esci fuori di testa. "Ride"

Traduzione by Nella -Source

 
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Moni12
CAT_IMG Posted on 19/5/2014, 10:57




Ridendo e scherzando dice una grande verità. Se si sta con i piedi per terra e se si è supportati da intelligenza e voglia di lavorare Hollywood da molte possibilità.
"Ma in realtà è davvero divertente se non ne esci fuori di testa".....sei un grande Robert!!!
Per quello, anche quando lo vedo con personaggi che non mi piacciono molto, sono tranquilla.....sono convinta che sappia cosa fare e come comportarsi :-)
 
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brianne
CAT_IMG Posted on 19/5/2014, 11:37




Maps tho The Stars: Photocall + Press Conference a Cannes, 19/5/2014

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Edited by Alexandra Borgia - 22/5/2014, 21:01
 
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*Camille*
CAT_IMG Posted on 19/5/2014, 19:28




'Maps to the Stars': Prime recensioni italiane

RPLife

Coming Soon: In Cosmopolis, Robert Pattinson abitava una limousine. Alla sua seconda collaborazione con David Cronenberg, l'attore si mette questa volta al volante, chaffeur che si trova a (ri)portare a Hollywood una Mia Wasikowska che, tra le ville dei divi, ha nascosto un ingombrante segreto. Assieme a loro, la diva interpretata da Julianne Moore, il terapista delle star John Cusack e ancora baby-attori arroganti e fragili, agenti, produttori, e tutto quello che compone il firmamento hollywoodiano.
Perché nelle sua fasi iniziali, quelle nelle quali il regista canadese gioca con insospettabile abilità col registro della commedia, Maps to the Stars sembra una satira a-la-Tom Wolfe di Tinseltown, delle sue dinamiche, dei suoi meccanismi, delle sue meschinità.
Poi, però, qualcosa nel registro del film cambia. E alle pagine di Wolfe, Cronenberg sembra sostituire quelle di Bret Easton Ellis, e la sua Hollywood assomiglia sempre di più a quella del Mulholland Drive di David Lynch, a forza di gelidi e spietati ritratti di ciò che si nasconde dietro le superfici, di fantasmi di bambini morti, di ossessioni incestuose e replicatrici.

Tutti i protagonisti di Maps to the Stars sono legati in maniera ossessiva e perversa al loro passato e al loro portato familiare: ci sono attrici che si dicono molestate dalla madre da piccole, ma che vogliono recitare nel ruolo che fu della genitrice morta prematuramente nel remake di un suo film; ci sono fratelli e sorelle che si sposano fra loro, per gioco o per davvero; ci sono genitori che non vogliono rivedere i loro figli o che da loro dipendono, e figli che vorrebbero dei genitori ma non possono più raggiungerli.
Il cinema e la famiglia. I meccanismi della celebrità e quelli della genitorialità e dell'identità. Sotto lo sguardo sempre più psicanalitico di David Cronenberg, questi due mondi apparentemente lontani sono invece uno satellite dell'altro, una stella binaria nella mappa identitaria di un mondo che appare sempre più ripiegato su sé stesso, autoreferenziale, incapace di fornire modelli devianti o nuovi rispetto a quelli oramai standardizzati.
Il loop infinito di Maps to the Stars, che mescola il riso con la pelle d'oca, tanto è capace di divertire e inquietare, è quello della replicazione (tanto familiare quanto industriale) di ciò che siamo e siamo stati portati a essere; quello di un'identità che non può essere altro che remake, o ennesimo capitolo di una franchise. Sfuggirne, appare impossibile: ne veniamo risucchiati come in un buco nero, dentro al quale ci aspetta solo il nulla, il vuoto, l'assenza.
La morte.
Senza identità, racconta Cronenberg, c'è solo quella.

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Sole 24 ore: C'è una megastar a la Justin Bieber, il 13enne Benjie (Evan Bird), appena uscita dal rehab dopo una lunga serie tv di successo e 780 milioni di dollari incassati dal suo ultimo film: manda a quel paese il suo agente, chiede "come va l'AIDS?" a una sua piccola fan malata di cancro, uno stronzetto fatto e finito. Che ha famiglia: la madre Christina lo amministra, il padre, Sanford Weiss (John Cusack), è un guru dell'autoaiuto con libri e strisce tv – vizio di famiglia? - di grande successo. Non solo, Sanford fa anche da terapista a una star piagata dal ricordo della madre bruciata in un incendio e, soprattutto, dagli anni che passano e la rendono meno appetibile: Havana Segrand (Julianne Moore), che – complice Carrie Fisher – fa di Agatha (Mia Wasikowska), appena arrivata a Hollywood, la sua assistente personale. Agatha ha guanti lunghi ed ustioni sul viso, e seduce l'autista di limo e aspirante attore/sceneggiatore Jerome Fontana (Robert Pattinson).
Questi i personaggi, ma il protagonista è un altro: Hollywood oggi, patria di nevrosi, paranoie vane ed eventuali, ossessioni, invidia e gelosie, con l'incesto dietro la cortina di fumo. Hollywood dispensa sogni, soprattutto incubi e visioni a occhi aperti: da Havana a Benjie, ognuno ha i propri privati fantasmi, la propria spettrale dipendenza, una stella nera sulla cartografia celeste di Hollywood.
In Concorso a Cannes, e nelle sale italiane dal 21 maggio, è Maps to the Stars di David Cronenberg, realizzato dalla sceneggiatura originale di Bruce Wagner, uno abituato a raccontare il dark side di Hollywood. Scrivendo per il cinema, non cambia focus né registro: un collage con un vago sentore di Magnolia, fratture di The Canyons, tessere - malamente - lynchane, echi breteastonellisiani, che si installa nella lunga teoria di film – critici – sulla Mecca del cinema. Ma che posto ha Maps to the Stars? Non al sole, tutt'altro: se gli interpreti – strepitosa la Moore, da schiaffi (in positivo) Evan Bird, tosta la Wasikowska – se la cavano bene, se più di qualche battuta va a segno, la sensazione è di irritazione, e non per la storia ma per il racconto. Cronenberg non tiene la barra, approccia più registri senza una chiara direzione, annacqua la critica, la satira su Hollywood nell'iperbole, nel "troppo stroppia", seguendo un fil rouge incestuoso pretestuoso, pleonastico, titillando dall'inizio alla fine il voyeurismo dello spetattore per le celebrities.

Forse, e parliamo in primis della sceneggiatura, bisogna essere un Jerome Fontana per scrivere (dirigere) questo film, Bruce Wagner ce l'ha fatta a divenire qualcuno, e per l'autenticità, la profondità e l'acume di Maps non è un bene. Il compiacimento è esibito, soprattutto vacuo: se Pattinson, l'abbiamo capito, cerca la fuga da Twilight guidando un'altra limo dopo Cosmopolis, Maps non sa dove andare, né chi prendere a bordo. Meglio soli che male accompagnati, forse, vale anche a Hollywood, di certo vale per gli spettatori di questo film: chi può, aiuti Cronenberg a ritrovare la mappa del tesoro. Quello del suo cinema che fu.

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Cineblog.it: Siamo da qualche parte nella prima metà del '900, quando Paul Éluard scrive Liberty, una poesia di cui poco sopra vi abbiamo riportato giusto gli ultimi versi. La stessa con cui David Cronenberg chiude Maps to the Stars, un film allucinante. Qualcosa di fresco, inedito, anche internamente al percorso del regista canadese, che il rischio praticamente lo adora. Questa sua ultima fatica non fa che confermare l'instancabile ricerca di Cronenberg, il suo fermo desiderio di spingersi sempre più oltre, senza però mai mollare la presa di un cinema che nonostante tutto rimane riconoscibilissimo.

Questo per rispondere indirettamente alle critiche di certi cronenberghiani della prima ora, che si sentono delusi, traditi come da un padre modello che è andato a letto con una ragazzina del liceo, la stessa magari per cui avevano una cotta. Il diretto interessato ha sempre lasciato correre, al tempo stesso manifestando diffidenza verso un fenomeno, il presunto tradimento, che a suo parere non esiste. Ma ci sono delle attenuanti, questo è certo. Perché se il cinema di Cronenberg non è cambiato, senz'altro si è evoluto; resta da discutere se le varie direzioni di volta in volta intraprese fossero quelle sperate o meno. Altro non-problema ad avviso di chi scrive.

Solo alla luce della libertà nonché del coraggio di un cineasta come lui sono concepibili film come Maps to the Stars. Piaccia o meno. Una diagnosi appassionata ed entro una certa misura appassionante, che muove dalla satira finendo col trascenderla. Torniamo alla poesia di Éluard. Cronenberg adora cavalcare i codici, servirsene a proprio piacimento per arrivare esattamente al proprio scopo. Cosmopolis si apriva su delle macchie di Rothko che scorrevano per l'appunto sui titoli di testa; in Maps to the Stars il film si chiude sui versi di Liberty. Pittura e poesia, due arti differenti poste in maniera speculare.

Ad un'occhiata un po' superficiale tutto ciò potrebbe dire poco o addirittura nulla, ma per il regista è essenziale far fondo a discipline esterne al cinema per informarci di altro, per offrirci delle chiavi ulteriori. Non solo. Soprattutto per fare il punto della situazione circa quale sia la pista da seguire, il leitmotiv più indicato. In Cosmopolis l'indecidibilità della forme, la loro dissoluzione allo stadio terminale (e fin qui, lo scrivemmo già all'epoca, tanto Cronenberg); in Maps to the Stars l'assoluta e irrinunciabile urgenza di sottrarsi alla schiavitù di un ambiente perversamente circolare.

Hollywood in tal senso non è che un pretesto, così come buona parte di ciò che quest'ultimo film manifesta in superficie. A parer nostro è bene sottolineare quanto appena rilevato, perché tanti sembrano aver preferito la lettura più immediata, forse privando il film di una profondità ulteriore. Perché il discorso parte sì da un epicentro, che è Los Angeles, ma per poi diramarsi verso aree ben più estese, frutto di una mappatura che è anche geografica ma non solo. Credere che tutto si fermi ad Hollywood equivarrebbe a dire che in Cosmopolis tutto restasse confinato a Wall Street. Solo che mentre in quest'ultimo film Pattinson-Eric a più riprese dichiara esplicitamente che quanto avviene in quella limousine condiziona il sistema-mondo, in Maps to the Stars certe conferme vanno invece lette tra le righe. Quando Benjie va a trovare la ragazzina malata in ospedale, la mette al corrente degli incassi del film che lo ha reso celebre, Bad Babysitter (di cui è in lavorazione un sequel); una cifra oltremodo notevole che implica una diffusione tale da giustificarla.

Ancora una volta Cronenberg viola i corpi, mostrandoci che la mutazione fisica è solo uno dei processi attraverso il quale si sostanzia tale violazione. La diffusione di cui all'ambiente di Maps to the Stars riguarda un male oramai fuori controllo, impazzito, al cui ceppo è impossibile risalire. I suoi personaggi non sono altro che portatori sani, alieni in un mondo di terrestri senza più punti di riferimento. Per questo le "mappe verso le stelle" di cui al titolo sono tante, perché tanti sono i sentieri attraverso i quali ci raggiungono o vengono raggiunte.
Abbiamo temporeggiato il più possibile prima di soffermarci sulla trama, ma a quanto pare è giunta l'ora. La famiglia Weiss vive in una lussuosa e scintillante abitazione nei pressi di Hollywood. Il padre, Stafford (John Cusack) è un ciarlatano travestito da psicologo televisivo, peraltro molto seguito. La madre, Cristina, è una donna estremamente ambiziosa, sebbene a spese del figlio Benjie, che appena tredicenne guadagna già un pozzo di soldi, dà del «finocchio ebreo» ad uno dei suoi agenti ed ha già una scabrosa storia di dipendenza da droga alle spalle, dalla quale sembra però essersi ripreso. La sorella, Agatha (Mia Wasikowska), è tornata Los Angeles dopo un soggiorno su Jupiter, anzi a Jupiter, Florida. Ed è decisa più che mai a sfondare a Hollywood. Qui conosce l'instabile Havana (Julianne Moore), diva in declino, figlia di diva ancora più grande, alla spasmodica ricerca del copione definitivo, quello della svolta. Alla combriccola si aggiunge Jerome (Robert Pattinson) aspirante attore e sceneggiatore che fa l'autista di limousine per sbancare il lunario - le stesse limousine di cui, in Cosmopolis, si chiedeva che fine facessero la sera, altro giochino cronenberghiano.

Il contesto di Maps to the Stars appare capovolto: i vivi scompaiono mentre i defunti non fanno altro che apparire. Non si fa che parlare di questo o quel personaggio, di quanto abbia grosso il sedere (metaforicamente e non), di serie TV, film, progetti in cantiere e pubbliche relazioni di ogni genere. Tutti appaiono soffocati da un ambiente in cui certe cose si respirano, volente o nolente. E ciascuno vuole la propria parte. Solo quando Agatha comincia a domandarsi il perché di quelle ambizioni, quando comincia a testarne la portata, solo allora sembra voler cambiare rotta. Ma è un processo ermetico, sottocutaneo, che Cronenberg si sforza semmai di dissimulare anziché spiattellarcelo in faccia.

Ecco allora l'andamento costantemente canzonatorio, l'ironia a tratti pedante, il sarcasmo che permeano l'intero film, che sotto tale aspetto risulta alquanto spassoso, salvo non cogliere la cospicua mole di riferimenti reali e citazioni. In mezzo a tutto ciò, il regista canadese va silenziosamente somministrando una serie di colpi che lasciano stesi. L'incesto, per esempio, è una tematica di primo piano, che va senz'altro letta anzitutto in relazione ad Hollywood, che non fa altro che strusciarsi languidamente con ciò che era un tempo, in questo perverso incesto generazionale che non guarda in faccia nessuno. Poi, dal generale, Cronenberg si sposta con una disinvoltura incredibile, per quanto incisiva, sul particolare, lasciando che Havana riceva la stessa parte recitata in passato dalla madre. È la mania del remake, che ad Hollywood vuol dire trarre profitto da e su una creazione preesistente, mentre a livello umano significa danzare sulle carcasse dei morti, recitando incantesimi che sarebbe meglio non pronunciare. Devastanti le dichiarazioni di Havana, che eppure ci vengono sottoposte en passant, quasi non contassero: l'intervistatore la presenta, ma essendosi dimenticato un dettaglio importante, Havana sfoggia il suo sorriso dicendo: «hanno anche abusato di me sessualmente da piccola». Più avanti, alla domanda: «come ti senti a recitare il ruolo che recitò tua madre?», con altrettanta, rarefatta innocenza esclama: «è un'opportunità che andrebbe concessa a tutti». Brividi.

Opera estremamente stratificata, risulta pressoché impossibile intercettare tutto dopo una sola visione. Cronenberg ci consegna un film imperfetto ma suo modo compiuto. Complesso, certo, ma al tempo stesso sorprendentemente ordinato. Parliamo di uno dei pochi registi che fanno film da così tanto tempo a non essersi fossilizzato, sempre bramoso di nuove sfide senza mai abiurare alla propria, distinta personalità, oltre che con un disincanto decisamente in linea coi tempi. Maps to the Stars non fa altro che riempirci e svuotarci innescando shock continui, reiterati. E poi quel finale, che solo solo tra noi della redazione abbiamo recepito in maniera diametralmente opposta, concordando però sulla sua eleganza. Un film che punta alla testa prima che allo stomaco, ma che funziona nella misura in cui ci opprime con la sua pesante, consapevole e appiccicosa artificialità, sempre a cavallo tra realtà e finzione. Così la pessima qualità della computer grafica nella scena del piccolo "incendio", diventa l'ennesima conferma, la più vivida probabilmente, di un regista che non trasforma il disprezzo in mero rifiuto, sublimando la sua più che legittima e giustificata intolleranza attraverso i mezzi che ha a disposizione. Cos'altro significa fare Arte?

Voto di Antonio: 8,5
Voto di Gabriele: 9

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Movie Sushi.it: Si sa dove ricadono le colpe dei padri.
Le candide lettere che sulla collina di Hollywood scrivono il nome del sogno sembrano guardare dall'alto il misero brulicare di un'umanità che ha perso di vista il vero significato della parola felicità, se non il senso stesso della vita. I personaggi entrano in scena uno per volta: una ragazza (Mia Wasikowska) deturpata da ustioni di misteriosa origine in cerca del suo posto in Paradiso; un fascinoso autista di limo (Robert Pattinson) che naturalmente studia per attore e sceneggiatore;

Una matura anche se bellissima diva (Julianne Moore), in disperata ricerca del ruolo agognato; un ragazzino-prodigio (Evan Bird), divetto di una serie tv, arrogante e già reduce da rehab, figlio di un celeberrimo guru della psicologia per ricchi infelici (John Cusack); la madre (Olivia Williams) che sfoga le sue frustrazioni facendo da agente al terribile pargolo. Le loro vite si intrecceranno e i collegamenti porteranno alla drammatica conclusione. David Cronenberg dirige nuovamente un film tratto da una storia non sua, scritta in questo caso da Bruce Wagner, autore di libri che illustrano con surreale e crudele humor l'inferno dei "felici pochi" di un ambiente che frequenta da anni. È inevitabile che il pensiero vada alla solita Hollywood-Babilonia, già tratteggiata in tanti film e romanzi, con le sue perversioni annoiate, i drammi intimi, le solitudini dei ricchi e famosi arrivati in vetta e lì aggrappati, terrorizzati di cadere sotto i colpi della concorrenza, dell'età, del gossip, con l'attenzione eccessiva dei messa media a ingigantire tutto a dismisura.
Cronenberg tratta questa materia a modo suo, mai col tono facile della satira, meno che mai del giudizio moralisticheggiante, perché l'atmosfera è raggelata e densa di presagi sinistri, nella pochezza spirituale dei protagonisti, nella meschinità delle loro esistenze, nel vano agitarsi (ogni paragone con i film di Altman è improprio). Ma i contorcimenti psicotici, i "disturbi" emozionali, i tormenti esistenziali dei personaggi non hanno l'intensità, la capacità di emozionare e coinvolgere come in alcune sue opere passate, nelle quali il sesso era l'unico modo per comunicare, partenza e approdo di vite imprigionate nella carne e per la carne destinate a morire. Maps to the Stars è un melodramma a fosche tinte sessuali (molestie da parte di una genitrice nei confronti di una figlia, un incesto che si propaga tragicamente fra generazioni), un dramma sulle devastazioni inflitte e subite nella ricerca sfrenata del successo, una versione "nera" dell'ambiente caro a Sofia Coppola, con protagonisti alla Bret Easton Ellis, vuoti e autoriferiti.
Rispetto ai libri di Wagner, il ristretto ambiente hollywoodiano dovrebbe farsi metafora di una società che cannibalizza i propri figli condannandosi all'estinzione, che vive sul passato, che non riesce a elaborare i propri lutti. E solo in modo estremo troverà quella libertà nominata nella poesia Liberté di Paul Eluard, ciclicamente citata nel film.

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Film for Life: Il firmamento delle stelle di Hollywood non è brillante come sembra e gli scheletri nell'armadio sono forse ancora più imponenti dei sogni nel cassetto che, a loro volta, di tanto in tanto si trasformano in incubi.
Di film che hanno parlato del lato oscuro di Hollywood ne è piena la cinematografia da Il viale del tramonto, passando per Come eravamo fino ad arrivare al più recente The Canyons. Ad alimentare questo genere di lungometraggi che svela senza inutili abbellimenti la ferocia celata dietro dietro la luccicante vita delle stars o delle aspiranti tali arriva anche l’eccellente cineasta David Cronenberg che con Maps To The Stars dice la sua su questo mondo.

Cronenberg entra nelle viscere del firmamento hollywoodiano raccontando gli indicibili segreti dei suoi protagonisti, descrivendo la supponenza dei giovani attori troppo piccoli e fragili per poter sopportare il peso della fama, le incoerenze degli agenti e dei produttori e la psicologia malata di chi in questo mare azzurro eppure melmoso ci sguazza e ci sopravvive a suon di terapia.

Un cast eccellente che vede tra gli altri un Robert Pattinson più espressivo del solito, un sempre bravo John Cusack e una Julianne Moore in splendida forma dà vita a un lungometraggio che si divide in due registri narrativi partendo con toni quasi comici per poi svelare la sua vera natura drammatica.
L’ossessione per il passato e per i legami familiari che tentano di essere strappati ma poi vengono ricuciti nel più malato dei modi è alla base di questo film che racconta i meccanismi del successo e allo stesso tempo psicanalizza, come solo Cronenberg sa fare, il concetto di ricerca di identità.
L’essere e l’apparire si confrontano e si scontrano in un racconto che forse non è del tutto nuovo ma che il cineasta personalizza a suo modo rendendo l’hollywoodiano paese dei belocchi inquietante specchio dell’umanità intera.





Edited by Alexandra Borgia - 22/5/2014, 20:28
 
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marliv2004
CAT_IMG Posted on 20/5/2014, 12:04




Maps to te Stars: Sul Set con Robert Pattinson (Sottotitoli in Italiano)

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Robert Pattinson parla del film, di quanto lo diverti recitare, e di Jerome Fontana, il suo personaggio. Dice che Cronenberg è un provocatore nato e che dopo aver letto le prime 2 pagine della sceneggiatura si è domandato: "Oh mio dio, cosa penserà la gente?".


Edited by Alexandra Borgia - 22/5/2014, 20:55
 
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brianne
CAT_IMG Posted on 20/5/2014, 12:31




'Maps to the Stars': Robert e David Intervistati da Radio France Inter

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Radio France Inter: Lavora in due film presenti a Cannes, The Rover dell’australiano David Michôd: in un mondo post apocalittico, dove interpreta un rapinatore un po' ingenuo e malridotto.

Robert: È divertente , faccio film strani e mi piacciono i film strani, e quelle ragazzine grideranno quando andranno a vedere The Rover. È divertente.

Radio France Inter: L’altro film che Robert Pattinson interpreta è in competizione per la Palma a Cannes , Maps to the Stars di David Cronenberg.

Robert: Sì , in Maps to the Stars interpreto un autista di limousine che sogna di diventare un attore.

Radio France Inter: Una parte secondaria ma, niente paura , si tratta di Cronenberg, che due anni fa ha deciso di dargli il ruolo principale in Cosmopolis anche quest’ultimo presentato Cannes, per farlo crescere come attore.

Cronenberg: Mi piace prendermi il merito per questo. Era un attore molto , molto sottovalutato, ma sapevo che aveva talento. Il mio istinto mi ha detto che era una star prima che avesse la possibilità di dimostrare che era un vero attore. Voglio dire, è come quando hanno dato la Palma a Rosetta; tutti ci dissero che era terribile, e ora i Dardens continuano a tornare qui e i loro attori hanno una grande carriera. Questo è quando sai che il tuo istinto è giusto , il che , naturalmente, ti fa sentire veramente bene.

Robert Pattinson esprime poi tutta la sua gratitudine a David Cronenberg.

Robert:Hai solo bisogno che qualcuno creda in te. Qualcuno che realmente rispetti e che poi ti fa pensare a te stesso in modo diverso . Ero sempre abbastanza ambizioso da giovane , ma dopo Cosmopolis mi sono sentito di poterlo essere di più e poi credi un po’ di più in te stesso.

Traduzione



Edited by Alexandra Borgia - 22/5/2014, 21:44
 
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marliv2004
CAT_IMG Posted on 20/5/2014, 12:41




Lui è carinissimo! Quando la popolarità non da alla testa!!!

Edited by Alexandra Borgia - 22/5/2014, 21:49
 
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brianne
CAT_IMG Posted on 20/5/2014, 16:14




Robert Pattinson Intervistato da 'Le Nouvel Observateur'

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